Prese il telefono e compose il numero.
Come al solito, come tutte le volte che dopo averlo accusato di qualcosa o di essersi volutamente allontanata, si sentiva in colpa e voleva essere perdonata.
Lui rispondeva sempre, il suo tono di voce era sempre lo stesso: paziente, sommesso, consapevole che lei avrebbe richiamato e gli avrebbe chiesto ancora una volta di essere perdonata.
Lo accusava di tradimento, di volerla abbandonare, di averle fatto promesse che non avrebbe mai mantenuto, di essersi dimenticato di lei, di avere delle pretese nei suoi confronti, di volerla abbindolare.
Lui non cercava di convincerla del contrario con lunghi discorsi o con trovate particolarmente alternative.
Era sicuro di amarla e di amarla per sempre, ed era sicuro che lei, prima o poi, se ne sarebbe resa conto.
Le sue accuse lo addoloravano ma non si scomponeva, tutte le volte che lei lo chiamava lui rispondeva, aspettava che lei con uno dei suoi soliti giri di parole si scusasse, le ripeteva che le voleva bene e poi le diceva: "Io ti perdono".
Non le diceva che le voleva bene dopo averla perdonata ma prima, sempre prima e il perdono era il segno che era davvero così. Glielo diceva prima, per dirle che la amava nonostante le accuse, che le voleva bene anche se lei continuava a dire che non era vero.
La verità è che lei non sapeva come sarebbe andata a finire questa storia, staccarsi da lui era impossibile, c'era qualcosa che li legava più forte di tutte le cattiverie che le venivano in mente, solo era stanca di non capirci nulla o quasi e si stava anche stancando del suo tono accusatorio e delle sue lamentele.
Lui invece sembrava avere in mente qualcosa di più preciso ma non aveva intenzione di rovinarle la sorpresa e quindi non diceva nulla o quasi.
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