sabato 6 ottobre 2012

semplicemente meravigliosa

Ci sono poi delle canzoni che sono esattamente quello che stavi cercando, nel momento in cui lo stavi cercando. La cosa migliore è che capita di trovarle per caso... così, perché sono la musica di attesa di una segreteria telefonica...


lunedì 3 settembre 2012

Fichi d'india = un'impostura

Allora, questa sera sono stata al mio super rinnovato supermercato nuovo dietro casa... 
A parte che dovevo comprar due cose e son stata dentro un'ora perché dovevo ambientarmi... sono stata vittima di un'insidiosissima impostura, l'impostura dei fichi d'India. 
Il punto è che io volevo dei fichi che ho scoperto essere tipo nel mia top ten della frutta ma, nel nuovo e super rinnovato supermercato i fichi non c'erano ma facevano bella mostra cassette di chili e chili di fichi d'India. 
Allora io ho detto: Beh, se si chiamano fichi saranno uguali ai fichi solo vengono da un paese diverso...infondo siamo in una società multi etnica bla bla bla...
e invece no... 
Stasera faccio per mangiare il mio fico d'India e scopro che:

A) Ha un miliardo di spine invisibili che ti si infilano nelle dita provocando fastidio eterno e dolorini malefici. Toglierle è impossibile perché sono invisibili quindi, probabilmente, per aver mangiato un fico, andrò segnata nel mondo per l'eternità. E Adamo si è lamentato per una mela...

B) Quando l'ho aperto, il suo interno non assomigliava affatto al rassicurante interno spugnosino e rosa del fico ma a una specie di polpa con millemila semini, rossa.

C) Non sa affatto di fico ma di... BANANA...

Adesso io dico... cosa lo chiami a fare fico se non sa di fico, non assomiglia a un fico e non è buono come un fico... non ha senso!! Chiamalo chessò frutto del fastidio dell'India... o Sapordibanana con semini rossi o Mannaggiattè... ma non fico...  E poi mi lamento, e le mie coinquiline dicono: e ma è d'India per forza che è diverso non è solo fico... La mia obiezione è: non è che esistono mettiamo: pomodoro italiano, pomodoro asiatico e uno è un pomodoro e l'altro sa di zucchina bollita... no... quindi questa storia: "Eh ma è d'India" io non me la bevo. Punto. Fine, chiuso. Il fico d'India è un'impostura bellaebbuuona!! SUFFRAGETTE A NNOI!

mercoledì 1 agosto 2012

Holidays

Amo con insistenza del mare:
Le borse frigo sotto gli ombrelloni.
L'odore di salsedine che ha praticamente qualunque cosa.
Le famiglie in maglietta bianca un po' accaldate che si ciondolando camminando per strada per raggiungere il mare.
Le signore sulla cinquantina un po' abbronzate e con la pelle raggrinzita che leggono la Stampa facendo espressioni di disappunto.
I motorini nel traffico.
La gente che gira in costume per strada.
E poi questo:


domenica 29 luglio 2012

cose di casa 2

Poi mia mamma ha la mania di collezionare cose... gli "usghei" sarebbe il termine tecnico... è sono meravigliose, inutili e bellissime. 



i miei pesci rossi

Ecco.
Già. Comunque ho dei pesci rossi.
sono un'eredità in prestito.

venerdì 27 luglio 2012

Non fate sbrodeghezzi!

Dunque... in questi giorni mi sono imbattuta in Lessico Familiare di Natalia Ginzburg il che probabilmente suonerà, a chi si intende di letteratura, come: "In questi giorni mi sono imbattuta in Penny Lane dei Beatles" a chi si intende di musica. 
Detto questo, è un libro meraviglioso.
Praticamente Natalia G. racconta la storia della sua famiglia attraverso degli aneddoti sul linguaggio e sulle espressioni che usavano in casa sua...
La cosa formidabile è che in verità in ogni famiglia ce ne sono. Per esempio, mia mamma quando le dicevi: "vorrei fare questo o quest'altro" commentava sempre: "Ma come, a quest'ora?" il che ovviamente non aveva nulla a che vedere con la reale opportunità di fare una certa attività a un certo orario ma era il suo modo per manifestare dissenso. 
Oppure, mio padre, che quando non trovava una camicia diceva sempre: "La donna mi ha rubato una camicia", "la donna" era la signora delle pulizie e dello stiraggio che a fare i conti a quest'ora potrebbe avere aperto una camiceria.
Insomma cose così e quando leggi questo libro ti tornano in mente tutte e un po' ridi e un po' ti vien nostalgia.
Quindi io lo leggerei questo libro. Davvero.
Se volete un assaggio o anche tutto il libro ecco qui.  

martedì 24 luglio 2012

il signor Arturo

Stava tranquillamente bevendo un bicchiere d'acqua. Era un po' contrariata in verità perché in casa era rimasta semplicemente dell'acqua naturale, ed era anche fuori dal firgor e faceva caldo, comunque stava bevendo quando suonarono il campanello.
Non era il campanello del portone del palazzo era proprio il campanello della sua porta.
Non aspettava nessuno e poi di solito nessuno suonava al campanello della porta direttamente, almeno nessuno dei suoi amici che puntualmente si dimenticavano sempre il numero del citofono e quindi la chiamavano per sapere cosa dovevano suonare.
Quando suonò il campanello, quindi, lei incominciò ad avere una leggera sensazione di inquietudine.
Si avvicinò alla porta e guardò dallo spioncino.
Faccia mai vista.
Riguardò e insieme chiese con voce forte: "Chi è?"
l'uomo dall'altra parte della porta rispose: "Sono il signor Arturo".
Aprì la porta e in quell'istante, fu un secondo, pensò che sarebbe stato bello diventare amica del signor Arturo, sapere qual è il suo gusto di gelato preferito, se ha paura di qualcosa, perché si chiama Arturo, se gli piace quella poesia là oppure no.
Ma, l'altra porta del pianerottolo si aprì e il signor Arturo capì di aver sbagliato a suonare il campanello, si voltò un po' imbarazzato dicendo: "Mi scusi, ho sbagliato". 
Lei richiuse la porta e le dispiacque immensamente quando si rese conto che non avrebbe più rivisto il signor Arturo. 



venerdì 13 luglio 2012

più chiaro di così


Hamlet

Why, look you now, how unworthy a thing you make of
me! You would play upon me; you would seem to know
my stops; you would pluck out the heart of my
mystery; you would sound me from my lowest note to
the top of my compass: and there is much music,
excellent voice, in this little organ; yet cannot
you make it speak. 'Sblood, do you think I am
easier to be played on than a pipe? Call me what
instrument you will, though you can fret me, yet you
cannot play upon me.


[ W. Shakespeare Atto III Scena II - Hamlet ]


mercoledì 11 luglio 2012

disordine e conservazione

Una volta un suo amico le aveva raccontato la storia di un uomo che aveva accumulato talmente tanti libri e giornali e fogli in casa sua da aver creato dei muri di carta in mezzo alle stanze. Pigne di volumi che creavano cunicoli tra la poltrona e la televisione, strati e strati di articoli conservati che si addossavano alle pareti serpeggiando in torri irregolari su su fino al soffitto... 
E. aveva pensato e ripensato all'uomo della carta un sacco di volte, le piaceva immaginarselo mentre camminava tra i pinnacoli di cellulosa in pigiama, in vestaglia forse, silenzioso, ormai vecchio. Ricostruiva mentalmente ogni singola stanza, si chiedeva se l'uomo avesse avuto pigne di carta anche in cucina, tra il lavello e il frigor per esempio.
La ragazza fantasticava che forse l'uomo, un giorno, aveva anche deciso di sostituire alcuni arredi con semplici libri accatastati, s'immaginava un letto di giornali e sgabelli di enciclopedie e un odore fortissimo di carta stampata misto a quello libri vecchi un po' inumiditi.
Era chiaro che a un certo punto l'uomo della carta non doveva più aver avuto un reale interesse per quello che conservava perché probabilmente ritrovare qualunque cosa sarebbe stato comunque impossibile. 
O forse l'uomo catalogava tutto? Sapeva dove si trovava ogni singolo pezzo di carta, ogni singolo articolo. 
Salotto: Autori stranieri dalla A alla M; ingresso: dalla M alla Z.
Bagno: Corriere della Sera dal 1968 al 1988 e Romanzi Gialli.
Corridoio: Ricordi di famiglia, lettere della donna amata e ricevute di pagamento.
E. rimuginava su quale avrebbe potuto essere una sistemazione razionale ma tutte le volte si convinceva che in quella casa la carta aveva preso il sopravvento sulla razionalità. 
Si era chiesta un milione di volte come era iniziata la raccolta: era stata una cosa involontaria? L'uomo aveva perso l'interesse a mettere in ordine tra i suoi affari e i suoi affari avevano preso il sopravvento su di lui? E poi chissà se l'uomo aveva letto veramente tutto quello che aveva conservato o s'eppure a un certo punto l'unica cosa importante era diventata semplicemente conservare, raccogliere, custodire la carta qualunque cosa avesse scritto sopra, qualunque cosa avesse da dire. 
Il suo amico aveva concluso la storia dicendo ad E. che l'uomo era un pazzo, che era stato portato in una casa di cura dove era morto poco dopo ma E. non credeva affatto alla pazzia del vecchio, c'è sempre un motivo per cui uno conserva un pezzo di carta, un motivo per cui compra un libro, un motivo per cui uno non vuole decidersi a buttare qualcosa.
Il vecchio non era pazzo. 
  

domenica 8 luglio 2012

Occasioni quando uno è un genio...

Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre


Un freddo cala... Duro il colpo svetta,
E l'acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre. 


[Non recidere, forbice, quel volto E. Montale]

un segno

Prese il telefono e compose il numero. 
Come al solito, come tutte le volte che dopo averlo accusato di qualcosa o di essersi volutamente allontanata, si sentiva in colpa e voleva essere perdonata.
Lui rispondeva sempre, il suo tono di voce era sempre lo stesso: paziente, sommesso, consapevole che lei avrebbe richiamato e gli avrebbe chiesto ancora una volta di essere perdonata. 
Lo accusava di tradimento, di volerla abbandonare, di averle fatto promesse che non avrebbe mai mantenuto, di essersi dimenticato di lei, di avere delle pretese nei suoi confronti, di volerla abbindolare.
Lui non cercava di convincerla del contrario con lunghi discorsi o con trovate particolarmente alternative. 
Era sicuro di amarla e di amarla per sempre, ed era sicuro che lei, prima o poi, se ne sarebbe resa conto. 
Le sue accuse lo addoloravano ma non si scomponeva, tutte le volte che lei lo chiamava lui rispondeva, aspettava che lei con uno dei suoi soliti giri di parole si scusasse, le ripeteva che le voleva bene e poi le diceva: "Io ti perdono". 
Non le diceva che le voleva bene dopo averla perdonata ma prima, sempre prima e il perdono era il segno che era davvero così. Glielo diceva prima, per dirle che la amava nonostante le accuse, che le voleva bene anche se lei continuava a dire che non era vero. 
La verità è che lei non sapeva come sarebbe andata a finire questa storia, staccarsi da lui era impossibile, c'era qualcosa che li legava più forte di tutte le cattiverie che le venivano in mente, solo era stanca di non capirci nulla o quasi e si stava anche stancando del suo tono accusatorio e delle sue lamentele.
Lui invece sembrava avere in mente qualcosa di più preciso ma non aveva intenzione di rovinarle la sorpresa e quindi non diceva nulla o quasi. 

sabato 7 luglio 2012

Cose di casa

Poi ogni tanto torno a casa e ci sono tutte queste cose meravigliose...







martedì 3 luglio 2012

Ritorno.

I primi dieci minuti della mattina erano sempre i più confusi. 
H. sedeva al tavolo della cucina indecisa sul da farsi, nella sua testa si spintonava una enorme quantità di pensieri: fare questo e quello e sentire questo o quest'altro, ricordarsi di portare la tal cosa al tale. 
Nessuno dei pensieri riusciva ad avere la meglio, era sempre così, stava tutto lì, qualcosa cercava di farsi notare più del resto ma nessuna attività, nei primi dieci minuti della mattina, riusciva a conquistarsi l'interesse di H. per più di cinque secondi.
Era il tempo in cui H. preparava la caffettiera, rovistava nella dispensa alla ricerca di qualcosa che assomigliasse a un biscotto, faceva un giretto sul balcone e recuperava dall'armadietto della cucina la sua tazza preferita. 
Quella mattina, però, inaspettatamente, dopo essersi versata il caffè e aver ripiegato su una fetta biscottata e della marmellata H. si ricordò del sogno e questo occupò completamente la sua attenzione e lei diventò un po' triste. 
Il sogno di cui H. si era ricordata era quello che aveva fatto quella notte e che le capitava spesso di fare. 
Il motivo per cui diventò triste era che da un po' di tempo non faceva più quel sogno e sperava che se ne fosse andato perché era un sogno che la metteva a disagio. 
Il contenuto del sogno era: H. doveva andare da qualche parte, si incamminava ma le sue gambe, improvvisamente, diventavano pesantissime sempre più pesanti e i passi sempre più lenti, provava a correre ma non ci riusciva, la sua corsa risultava lenta e fondamentalmente inutile. Nel corso del sogno, poi, solitamente, iniziava a fare caldo, caldissimo e H. aveva sempre il solito problema, andare da qualche parte e non riuscire ad andarci e sapere, in modo quasi inesorabile, che se anche fosse riuscita a raggiungere la sua destinazione sarebbe arrivata in ritardo. 
H. bevve l'ultimo goccio di caffè dalla tazza, si alzò e iniziò a occuparsi di tutto quello che doveva fare, ora le cose iniziavano a ordinarsi da sole in ordine di importanza, il sogno se ne tornava dietro le quinte ma rimaneva lì, liberarsene forse era impossibile, era parte del teatro. 

domenica 24 giugno 2012

pescitudine

Ecco. Questo è poi un art attak che ho fatto. é pur vero che per realizzarlo ho inalato qualunque tipo di sostanza tossica esistente, soprattutto colla e smalto ma dovevo portare a casa il risultato e alla fine ce l'ho fatta. Sono dei pesci anni 70 con il corpo di paiettes... pronti per andare a ballare.



Una delle cose che mi dispiace di più dei miei art attak è che infondo sono assolutamente inutili. Non servono a niente... bisogna che ci trovo un'occupazione a questi pesci altrimenti poi sono tristi... e con quei denti è decisamente meglio non farli arrabbiare...

sabato 23 giugno 2012

Il mio (ESSENZIALE) album di mostri

Oggi mi sono comprata questo libro di cui avevo ASSOLUTAMENTE bisogno... è un libro di mostri da colorare e non è assolutamente rilevante il fatto che io abbia anni n. 28 e non anni n. 5... ne avevo bisogno e poi c'è modo e modo di colorare i mostri...
Quello che bisogna fare oltre a colorare i mostri è fare dei disegni per fargli dei dispetti... come per esempio disegnare delle cacche di piccioni che gli cadono in testa oppure dei cuori sul pigiama...
In ogni caso... la decisione veramente importante è che: chiunque verrà a casa mia potrà colorare un mostro a sua scelta...

il mio (ESSENZIALE) album di mostri 2


venerdì 22 giugno 2012

Solitudine


"Sull'atroce morte di Pasolini s'è scritto tutto; ma sulle ragioni per cui egli non ha potuto non andarle incontro, penso quasi nulla. Cosa lo spingeva, la sera o la notte, a volere e a cercare quegli incontri? La risposta è complessa, ma può agglomerarsi, credo, in un solo nodo e in un solo nome: la coscienza e l'angoscia dell'essere diviso, dell'essere soltanto una parte dl un'unità che, dal momento del concepimento, non è più esistita; insomma, la coscienza e l'angoscia dell'essere nati e della solitudine che fatalmente ne deriva. La solitudine, questa cagna orrenda e famelica che ci portiamo addosso da quando diventiamo cellula individua e vivente e che pare privilegiare coloro che, con un aggettivo turpe e razzista, si ha l'abitudine di chiamare "diversi". Allora, quando Il lavoro è finito (e, magari, sembra averci ammazzati per non lasciarci più spazio altro che per il sonno e magari neppure per quello); quando ci si alza dai tavoli delle cene perché gli amici non bastano più; quando non basta più nemmeno la figura della madre (con cui, magari, s'è ingaggiata, scientemente o incoscientemente, una silenziosa lotta o intrico d'odio e d'amore) e si resta lì, soli, prigionieri senza scampo, dentro la notte che è negra come il grembo da cui veniamo e come il nulla verso cui andiamo, comincia a crescere dentro di noi un bisogno infinito e disperante di trovare un appoggio, un riscontro; di trovare un "qualcuno"; quel "qualcuno" che ci illuda, fosse pure per un solo momento, dl poter distruggere e annientare quella solitudine; di poter ricomporre quell'unità lacerata e perduta. Gli occhi, quegli occhi; la bocca, quella bocca; i capelli, quei capelli; il corpo, quel corpo; e l'inesprimibile ardore che ogni essere giovane sprigiona da sé, come se in esso la coscienza di quella divisione non fosse ancora avvenuta, come se lui, proprio lui, fosse l'altra parte che da sempre ci è mancata e ci manca. Mettere di fronte a queste disperate possibilità e a queste disperate speranze il pericolo, fosse pure quello della morte, non ha senso. Io penso che non s'abbia neppure il tempo per fare dì questi miseri calcoli; tanto violento è il bisogno di riempire quel vuoto e di saldare o almeno fasciare quella ferita. Del resto, chi potrebbe segnalarci che dentro quegli occhi, dentro quella bocca, quei capelli e quel corpo, si nasconde un assassino? Nella mutezza del cosmo queste segnalazioni non arrivano; e anche se arrivassero, torno a ripetere che il bisogno di vincere quell'angoscia risulterebbe ancora più forte e ci vieterebbe d'intendere. Si parte; e non si sa dove s'arriva. Per sere e sere, una volta avvenuto l'incontro, l'illusione riprecipita in se stessa. Ma nella liberazione fisica s'è ottenuta una sorta di momentanea requie; o pausa; o riposo. La sera seguente tutto riprende; giusto come riprende il buio della notte. E così gli anni passano. La distanza dal punto in cui l'unità perduta è diventata coscienza si fa sempre maggiore, mentre sempre minore diventa quella che ci separa dal reingresso finale nella "nientità" della morte; e dalle sue implacabili interrogazioni. Le ombre, allora, s'allungano; più difficile si rende la possibilità che quell'incontro infinite volte cercato, finalmente si verifichi; più difficile, ma non meno febbricitante e divorante. La vicinanza della morte chiama ancora più vita; e questo più o troppo di vita che cerchiamo fuori di noi, in quegli incontri, in quegli occhi, in quelle labbra, non fa altro che avvicinare ulteriormente la fine. Così chi ha voluto veramente e totalmente la vita può trovarsi più presto degli altri dentro le mani stesse della morte che ne farà strazio e ludibrio. A meno che il dolore non insegni la "via crucis" della pazienza. Ma è una cosa che il nostro tempo concede? E a prezzo di quali sacrifici, di quali attese o di quali terribili e sanguinanti trasformazioni o assunzione di quegli occhi e di quelle labbra?"

[Espresso, 9 novembre 1975 - Testori]

mercoledì 20 giugno 2012

un tema di maturità



Questa mattina mi è venuta la matta e ho fatto uno dei temi che c'erano per le tracce della maturità, quello sul labirinto perché mi piaceva tantissimo. 

Una delle cose che a mio padre è sempre piaciuto fare e che, anche oggi, gli porta via una gran quantità di tempo è “La settimana enigmistica”. Sinceramente non ho mai capito, né gli ho mai chiesto, che cosa lo appassioni tanto di quel giornaletto ma credo che il segreto stia nel senso di ordine e di compiutezza che porta con sé un quiz ben risolto.
Unisci i puntini, e verrà fuori un bel disegno, rispondi a tutte le domande e il cruciverba è completato e non c’è più nessuna casella bianca, guarda bene le figure, aggiungi le lettere, fai due ragionamenti eee oplà ecco che anche il rebus è risolto e diventa una frase semplice e chiara. Ciò che era indecifrabile improvvisamente acquista un suo significato e la cosa migliore è che, in un certo senso, se sei tu ad avere risolto il quiz, sei tu che sei stato capace di dargli il suo significato, il senso che aveva perduto.
Ogni tanto, tra le pagine un po’ ingiallite di quel settimanale c’è anche il quiz del labirinto, è uno di quelli facili: prendi la penna o la matita, se sei insicuro, e inizi a tracciare una linea e lentamente la tua linea arriva all’uscita. Il tratto di penna o la timida linea di grafite ricongiungono, non so, il cane alla sua ciotola, il bambino che si era perso alla sua casa. La strada che la tua mano percorre può avere un segno più o meno sicuro ma, non c’è dubbio, prima o poi arriverà a destinazione e potrai passare, volendo, al prossimo quiz.
Ecco, sulla carta è facile, perché il labirinto di solito è piccolo e poi se ne ha una visione d’insieme, devi trovare una strada, devi trovare una soluzione ed è una cosa semplice, è nella vita, quella vera, che la faccenda è complicata.
La vita che, a volte, assomiglia così tanto alla nitida città degli immortali descritta da Borges, qualcosa che sembra fatto apposta per perdercisi dentro, per non raccapezzarcisi. Qualcosa che sembra esplorabile solo in maniera imperfetta. Di tutte le cose che ci accadono, di tutti gli incontri che facciamo è così terribile non riuscire ad afferrare immediatamente il senso, che ci sembra come un’ alta finestra irraggiungibile, la vistosa porta che s’apriva su una cella o su un pozzo, le incredibili scale rovesciate, coi gradini e la balaustra all’ingiù.
Gli eventi che popolano la nostra esistenza assomigliano al quadro di Esher “relatività” dove, le strade, le scale, sembrano non portare da nessuna parte o le porte si aprono solo su stanze buie. Nessuno di quelli che, lì nel quadro, come noi, va su e giù sembra aver trovato la strada, forse quei due che se ne vanno nel giardino abbracciati ma non è sicuro.


Il problema è che così, non avendo un significato, non trovando una strada, nessuno ha un volto, una faccia, tutti si assomigliano e sono tragicamente da soli, occupati nei loro affari o piegati, come uno degli omini, sotto il peso di un sacco troppo pesante.

È la stessa cosa che accade al protagonista delle Città invisibili di Calvino quando vorrebbe andare nel centro di Pentesilea. Si chiede dove si trovi: la città dove si vive, non il luogo dove si lavora, il luogo dove si dorme ma il luogo dove si vive, dove uno, cioè, è veramente se stesso. Non il posto dove si va, spesso, quasi obbligati da un dovere o da una necessità e nemmeno il luogo dove si dorme, dove non si è che parte di una massa indistinta accumunata da un bisogno del tutto naturale. Il punto è se esiste un posto in cui io posso essere davvero io, se esiste una strada per andarci, se qualcuno conosce questa strada oppure se si è condannati a vagare di periferia in periferia, da indistinto a indistinto, vittime delle indicazioni di chi, con “un gesto intorno che non sai se voglia dire: “Qui”, oppure: “Più in là”, o: “Tutt’in giro”, o ancora: “Dalla parte opposta”, non sa nemmeno lui dove sta andando.
Sembra che il centro della città, il luogo in cui dire io, in cui sentirsi a casa, in cui sentire che il proprio bisogno è compiuto e ha una risposta esista, sì, ma in fondo sia irraggiungibile quindi, meglio arrendersi, meglio rinunciare a capire e abbandonarsi un limbo che appare ipotesi tanto probabile quanto angosciosa.
Anche i personaggi dell’Orlando Furioso di Ariosto vivono lo stesso dramma, per un intero poema vanno alla ricerca dell’oggetto del loro desiderio, di ciò che, una volta posseduto, li faccia sentire compiuti, risolti.
È impossibile non essere solidali e sentirsi vicini al povero Orlando che si affanna nel castello alla ricerca di Angelica o a tutti gli altri che come lui s’inquietano e si arrabbiano perché non riescono a possedere ciò che desiderano:

Di su di giù va il conte Orlando e riede, / né per questo può far gli occhi mai lieti / che riveggiano Angelica, o quel ladro / che n’ha portato il bel viso leggiadro. // E mentre or quinci or quindi invano il passo / movea, pien di travaglio e di pensieri, / Ferraù, Brandimarte e il re Gradasso, / re Sacripante ed altri cavallieri / vi ritrovò ch’andavano alto e basso, / né men facean di lui vani sentieri; / e si ramaricavan del malvagio / invisibil signor di quel palagio. // Tutti cercando il van, tutti gli dànno / colpa di furto alcun che lor fatt’abbia: / del destrier che gli ha tolto, altri è in affanno; / ch’abbia perduta altri la donna, arrabbia; / altri d’altro l’accusa: e così stanno […].

In questo labirinto, in cui raggiungere ciò che fa gli occhi lieti sembra impossibile, l’affanno inquieto della ricerca, si accompagna sempre alla ricerca di un colpevole per il fatto che non si riesce ad afferrare ciò che si desidera.
Quante volte, ci si illude che trovando il colpevole il mistero di quello che accade sia risolto, l’inquietudine di fronte a qualcosa che non controlliamo possa essere ammansita. Così, se a causa di un terremoto, una casa cade e delle persone muoiono, ci sembra che sapere tutte le ragioni per cui avviene un terremoto, sapere com’era costruita la casa e quindi perché è crollata, trovare un amministratore negligente che non ha fatto il suo dovere, risponderà in maniera esaustiva all’unica domanda a cui realmente vogliamo rispondere: perché è successo?.
Perché ci capita di desiderare cose che la vita sembra rifiutarci, qual è la strada per noi? Si può essere compiuti, davvero felici in un marasma di cose.
Se la risposta non c’è, se non è afferrabile, se non è incontrabile, se non c’è la strada per uscire dal labirinto allora, purtroppo la vita è esattamente come il quadro il Pollok. 


Non a caso, questo dipinto, prende il titolo da un mito in cui anche l’ordine naturale delle cose è stravolto e con un inganno una donna può orribilmente accoppiarsi con un toro. Uomini, animali, cose, persone, senza una strada tutto è uguale, tutto è indistinto, tutto è confuso e la riuscita sta solo nelle mani dei violenti o di chi ha il potere e la forza di sgomitare all’interno della confusione o di imporre con la forza un suo ordine temporaneo alle cose.
L’unica possibilità, è che qualcuno, come la bambina del quadro di Picasso ci illumini la strada, che qualcuno, per cui il significato delle cose non è un ignoto ci accompagni e ci sostenga nella nostra strada. 

L’unica soluzione è che a dispetto dell’apparenza della nostra misura, che è deforme come il Minotauro che nel quadro vuole spegnere la candela della bambina, il significato delle cose esista e che possa essere incontrato e vissuto. 

lunedì 18 giugno 2012

la vita. Sempre la vita.

Se siamo fortunati, non importa scrittori o lettori, finiremo l'ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in silenzio. Idealmente, ci metteremo a riflettere su quello che abbiamo appena scritto o letto; magari il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in avanti rispetto a dove erano prima. La temperatura del nostro corpo sarà salita, o scesa, di un grado. Poi, dopo aver ripreso a respirare regolarmente, ci ricomporremo, non importa scrittori o lettori, ci alzeremo e "creature di sangue caldo e nervi", come dice un personaggio di Cechov, passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita. 

[R. Carver]

sabato 16 giugno 2012

Matrimoni

Oggi sono stata a un matrimonio... in verità a me non piace affatto andare ai matrimoni... in fondo sono un po' noiosi, però questo era bello. Innanzitutto era in un posto magnifico: 




Secondo c'erano questi da assaggiare ed erano tutti violetti e gommosini.



Terzo: c'era una vera torta nuziale di quelle multipiano e... attenzione non era fatta di schifido pan di spagna rancido e panna come tutte le torte nuziali ma di sfogliatine e glassa e frutti di bosco e cioccolata bianca!!!

Quarto: a un certo punto ero seduta al tavolo ed è arrivato anche Magritte...

venerdì 15 giugno 2012

fame...

Il Ragazzo intuiva che quella fame era il nocciolo della follia del vecchio, e segretamente aveva paura che si potesse trasmettere, che gli si potesse nascondere nel sangue e, un giorno, colpirlo. Allora anche lui sarebbe stato dilaniato dalla fame, come il prozio, il suo stomaco non avrebbe più avuto fondo e nulla avrebbe potuto guarirlo o saziarlo, se non il pane della vita. 
Quand'era possibile, tentava di sfuggire a questi pensieri, di guardar le cose normalmente, di non vedere più di quanto gli stava davanti e di non oltrepassare con gli occhi, la superficie. Aveva l'aria di temere che se avesse permesso al suo sguardo di soffermarsi un attimo più di quanto occorreva per riconoscere una cosa - una vanga, una zappa, i quarti posteriori del mulo attaccato all'aratro, il solco rosso ai suoi piedi - quella cosa si sarebbe levata improvvisamente dinanzi a lui, estranea e spaventosa, esigendo che la nominasse, e la nominasse senza errori, e lui sarebbe stato giudicato dal nome che le avrebbe dato. Tarwater faceva il possibile per evitare il rischio di questa intimità con il creato.


[F. O' Connor il cielo è dei violenti]

mercoledì 13 giugno 2012

Un disco perfetto

Adesso non è che io sia una di quelle esperte di musica che dicono cose di una certa intelligenza sui dischi, però l'altro giorno ho scoperto l'album "Da solo" di Vinicio Capossela e, a mio modesto parere che peraltro condivido (cit.), è perfetto.

Le canzoni sono tristi, alcune, e altre contente.
é bello che si chiami "da solo" perché è la musica perfetta per quando uno è da solo, ma non da solo che non c'è nessuno, è quel "da solo" perché sei triste e nessuno capisce perché sei triste ma c'hai un nocciolo che ti pesa sul cuore grosso così e non riesci a piangere però quello, il nocciolo intendo, pesa da matti.
è anche quel "da solo" perché sei molto contento e ci sono cose per cui sei contento solo tu, perché sono solo per te per cui anche in quel caso sei da solo. 
E poi, sì, è anche il "da solo" di tutte quelle volte che succedono cose per cui una canzone come: "Non c'è disaccordo nel cielo" ha nel testo le seguenti parole per descriverle:

A volte non vedo nel cielo che
nuvole gonfie e mistero e
salendo nel vapore leggero altro
non vedo e non so



é un disco perfetto anche perchè è pieno di cose piccole ma buone, quelle cose che non tutti notano ma che stanno lì come il "cielo color mattino, color cestino, azzurro dell'asilo" o "le frenate degli aerei in cielo".

E poi quando in un disco per spiegare gli accompagnamenti scrivi: 

"Malaccompagnato da: chitarra fantasma, theremin, spartiti da banda, ... cristallarmonio, ... il gigante, il mago, il fischio del buonumore... e in somma l'Orchestra degli strumenti inconsistenti" 

Io sono già conquistata. Potrei non averlo ancora sentito ma, non importa, ne varrebbe comunque la pena. 

sabato 9 giugno 2012

Modì

Ecco che Modigliani le sue idee doveva prenderle da qualche parte.


Addio Anni 70

Oggi ho visto questa mostra a Palazzo Reale... Addio Anni '70... effettivamente direi anche io addio a un bel po' delle cose che c'erano, però conserverei il signor Danie Spoerri che ha pensato questa idea dei tavoli con le cose appiccicate sopra. La cosa bella è che sono proprio come le tavole delle cene vere su cui alla fine c'è un po' di tutto, anche cose che non c'entrano. Come i fogli di quando chiedi al papà se ti aiuta a fare i compiti o i giochi che hai rotto e gli chiedi se te li aggiusta. Poi su uno c'era anche una superpila e poi insomma le solite cose assurde che metti a tavola e per cui la mamma si arrabbia e dice: "Non si mettono quelle cose sul tavolo, sono sporche". 



Piazza dei mercanti

Oggi in piazza dei mercanti c'era questa cosa, spago con mollette e fogli appesi con poesie... idea bellissima e anche molto scenografica, se volevi potevi anche portare a casa le poesie che però erano orrende... 



mercoledì 6 giugno 2012

quasi una consolazione

Oggi ero tanto triste. Poi per strada improvvisamente c'erano loro.
Non è che dopo averli visti non ero più triste, ero triste lo stesso però avevo visto una cosa meravigliosa.



martedì 22 maggio 2012

libri?!?

Poi c'è uno che ha avuto questa idea, si chiama Brian Metter e qui ci sono altre cose che ha fatto...


Pioneering Django!

L'ultima scoperta musicale del mio passato recente è Django Reinhardt.
Probabilmente ero solo io che non lo conoscevo perchè Wikipedia recita "was a pioneering virtuoso belgian Jazz guitarist and composer"... e quando sei un pioneering virtuoso non è che poi si possono aggiungere molte osservazioni in merito, soprattutto credo che essere pioneering significhi che ti conoscono tutti... 
Comunque io l'ho scoperto Domenica a pranzo ed è stata una bella scoperta perché la sua musica sa proprio di Domenica a pranzo, quando prepari la tavola e fai da mangiare. Sa anche un po' di trattoria all'aperto e di girasoli. 


Always...

Oggi mi hanno regalato questo anello della Coca-Cola... insomma diciamo che ho insistito un momentino sul fatto che mi piaceva molto e che era davvero bello e che insomma mi piace molto la Coca-Cola e che sarebbe stato molto adatto a me... ma non ho mai usato le parole: "Me lo regali per favore?"... quindi è un regalo a tutti gli effetti! In ogni caso ora ho un anello della Coca Cola... credo che presto avrò anche dei super poteri. 

domenica 20 maggio 2012

Cose che capitano

Allora...
l'altro ieri mi hanno rimosso la macchina.
Ieri un piccione mi ha fatto la cacca in testa.
Certo, erano entrambe cose che non mi erano mai successe, è importante fare nuove esperienze nella vita... ma non è che proprio bisogna per forza provare tutto no? 
Comunque, ne approfitto per fare un gesto civico: se vi rimuovono la macchina a Milano i numeri che dovete chiamare sono: 0277270281 oppure 0277270280 e se li trovate sempre occupati allora chiamate 0277271 e una simpatica voce guida farà il resto. 
Sappiate che vi chiederanno un sacco di soldi per ridarvi la vostra macchina. Sappiate che è una questione di peso.  
L'omino del deposito è una bella persona.
La donna addetta alle pratiche è come i Vogon. 
Sappiate che possono essere stati i vostri vicini a chiamare la rimozione, in quel caso i vostri vicini, come i miei, sono delle brutte persone.   

sabato 19 maggio 2012

bucato

Oggi la signora del primo piano ha fatto il bucato, un bucato rosa.  

mercoledì 16 maggio 2012

Casa sig. Cielo


Poi, oggi pomeriggio, il cielo si è affacciato alla finestra... così io ho scoperto dove abita!

martedì 15 maggio 2012

La canzone del giorno

La canzone del giorno è l'inutilissima Got my mind set on you di George Harrison.
Il motivo è: che è assolutamente priva di contenuto, assolutamente adatta a quando sono stanchissima e squisitamente anni 80. 
Un minuto di questa canzone e io ho già mentalmente indossato scaldamuscoli rosa e la mia felpa grigia stracciata alla Footloose, mi sento come Jam di Jam e le Holograms, sono atletica e scattante e sto facendo aerobica in palestra con una ipotetica amica di nome Janet e fuori mi aspetta Kevin Bacon con uno skateboard...
And this time I know it's for real the feelings that i feeeeeel...
ok... un altro chiaro segno di decadenza...



sabato 12 maggio 2012

Eh già.

Chissà chi ci abita lì. 
Son quelle cose che se ci penso ci esco matta (cit.). 

Un classico...

Ci sono cose che sono un po' dei grandi classici... per esempio: il tubino nero di Audrey Hepburn, il pollo arrosto con le patate fritte, Una poltrona per due in tele a Natale,  i Beatles, il gelato alla panna con le fragole, i racchettoni in spiaggia e poi Branca Day dei Derozer... 




le casette

giovedì 10 maggio 2012

e se...

Quando uno è piccolo gli insegnano sempre che non deve accettare le caramelle dagli sconosciuti... ma se, per una volta, sono io che offro una caramella a uno sconosciuto che cosa potrebbe succedere? 

succede

Una volta qualcuno ha detto che la realtà è una cosa onesta... forse la frase non era proprio così ma comunque, stasera sono tornata a casa pensando a mille cose, i pensieri mi si aggrovigliavano nel cervello, una confusione incredibile e poi sono scesa dalla macchina e ho pestato una cacca. 
è stato molto ridicolo ma i pensieri non onesti di fronte alla cacca reale se ne sono andati e comunque ho riso tantissimo.