domenica 29 luglio 2012

cose di casa 2

Poi mia mamma ha la mania di collezionare cose... gli "usghei" sarebbe il termine tecnico... è sono meravigliose, inutili e bellissime. 



i miei pesci rossi

Ecco.
Già. Comunque ho dei pesci rossi.
sono un'eredità in prestito.

venerdì 27 luglio 2012

Non fate sbrodeghezzi!

Dunque... in questi giorni mi sono imbattuta in Lessico Familiare di Natalia Ginzburg il che probabilmente suonerà, a chi si intende di letteratura, come: "In questi giorni mi sono imbattuta in Penny Lane dei Beatles" a chi si intende di musica. 
Detto questo, è un libro meraviglioso.
Praticamente Natalia G. racconta la storia della sua famiglia attraverso degli aneddoti sul linguaggio e sulle espressioni che usavano in casa sua...
La cosa formidabile è che in verità in ogni famiglia ce ne sono. Per esempio, mia mamma quando le dicevi: "vorrei fare questo o quest'altro" commentava sempre: "Ma come, a quest'ora?" il che ovviamente non aveva nulla a che vedere con la reale opportunità di fare una certa attività a un certo orario ma era il suo modo per manifestare dissenso. 
Oppure, mio padre, che quando non trovava una camicia diceva sempre: "La donna mi ha rubato una camicia", "la donna" era la signora delle pulizie e dello stiraggio che a fare i conti a quest'ora potrebbe avere aperto una camiceria.
Insomma cose così e quando leggi questo libro ti tornano in mente tutte e un po' ridi e un po' ti vien nostalgia.
Quindi io lo leggerei questo libro. Davvero.
Se volete un assaggio o anche tutto il libro ecco qui.  

martedì 24 luglio 2012

il signor Arturo

Stava tranquillamente bevendo un bicchiere d'acqua. Era un po' contrariata in verità perché in casa era rimasta semplicemente dell'acqua naturale, ed era anche fuori dal firgor e faceva caldo, comunque stava bevendo quando suonarono il campanello.
Non era il campanello del portone del palazzo era proprio il campanello della sua porta.
Non aspettava nessuno e poi di solito nessuno suonava al campanello della porta direttamente, almeno nessuno dei suoi amici che puntualmente si dimenticavano sempre il numero del citofono e quindi la chiamavano per sapere cosa dovevano suonare.
Quando suonò il campanello, quindi, lei incominciò ad avere una leggera sensazione di inquietudine.
Si avvicinò alla porta e guardò dallo spioncino.
Faccia mai vista.
Riguardò e insieme chiese con voce forte: "Chi è?"
l'uomo dall'altra parte della porta rispose: "Sono il signor Arturo".
Aprì la porta e in quell'istante, fu un secondo, pensò che sarebbe stato bello diventare amica del signor Arturo, sapere qual è il suo gusto di gelato preferito, se ha paura di qualcosa, perché si chiama Arturo, se gli piace quella poesia là oppure no.
Ma, l'altra porta del pianerottolo si aprì e il signor Arturo capì di aver sbagliato a suonare il campanello, si voltò un po' imbarazzato dicendo: "Mi scusi, ho sbagliato". 
Lei richiuse la porta e le dispiacque immensamente quando si rese conto che non avrebbe più rivisto il signor Arturo. 



venerdì 13 luglio 2012

più chiaro di così


Hamlet

Why, look you now, how unworthy a thing you make of
me! You would play upon me; you would seem to know
my stops; you would pluck out the heart of my
mystery; you would sound me from my lowest note to
the top of my compass: and there is much music,
excellent voice, in this little organ; yet cannot
you make it speak. 'Sblood, do you think I am
easier to be played on than a pipe? Call me what
instrument you will, though you can fret me, yet you
cannot play upon me.


[ W. Shakespeare Atto III Scena II - Hamlet ]


mercoledì 11 luglio 2012

disordine e conservazione

Una volta un suo amico le aveva raccontato la storia di un uomo che aveva accumulato talmente tanti libri e giornali e fogli in casa sua da aver creato dei muri di carta in mezzo alle stanze. Pigne di volumi che creavano cunicoli tra la poltrona e la televisione, strati e strati di articoli conservati che si addossavano alle pareti serpeggiando in torri irregolari su su fino al soffitto... 
E. aveva pensato e ripensato all'uomo della carta un sacco di volte, le piaceva immaginarselo mentre camminava tra i pinnacoli di cellulosa in pigiama, in vestaglia forse, silenzioso, ormai vecchio. Ricostruiva mentalmente ogni singola stanza, si chiedeva se l'uomo avesse avuto pigne di carta anche in cucina, tra il lavello e il frigor per esempio.
La ragazza fantasticava che forse l'uomo, un giorno, aveva anche deciso di sostituire alcuni arredi con semplici libri accatastati, s'immaginava un letto di giornali e sgabelli di enciclopedie e un odore fortissimo di carta stampata misto a quello libri vecchi un po' inumiditi.
Era chiaro che a un certo punto l'uomo della carta non doveva più aver avuto un reale interesse per quello che conservava perché probabilmente ritrovare qualunque cosa sarebbe stato comunque impossibile. 
O forse l'uomo catalogava tutto? Sapeva dove si trovava ogni singolo pezzo di carta, ogni singolo articolo. 
Salotto: Autori stranieri dalla A alla M; ingresso: dalla M alla Z.
Bagno: Corriere della Sera dal 1968 al 1988 e Romanzi Gialli.
Corridoio: Ricordi di famiglia, lettere della donna amata e ricevute di pagamento.
E. rimuginava su quale avrebbe potuto essere una sistemazione razionale ma tutte le volte si convinceva che in quella casa la carta aveva preso il sopravvento sulla razionalità. 
Si era chiesta un milione di volte come era iniziata la raccolta: era stata una cosa involontaria? L'uomo aveva perso l'interesse a mettere in ordine tra i suoi affari e i suoi affari avevano preso il sopravvento su di lui? E poi chissà se l'uomo aveva letto veramente tutto quello che aveva conservato o s'eppure a un certo punto l'unica cosa importante era diventata semplicemente conservare, raccogliere, custodire la carta qualunque cosa avesse scritto sopra, qualunque cosa avesse da dire. 
Il suo amico aveva concluso la storia dicendo ad E. che l'uomo era un pazzo, che era stato portato in una casa di cura dove era morto poco dopo ma E. non credeva affatto alla pazzia del vecchio, c'è sempre un motivo per cui uno conserva un pezzo di carta, un motivo per cui compra un libro, un motivo per cui uno non vuole decidersi a buttare qualcosa.
Il vecchio non era pazzo. 
  

domenica 8 luglio 2012

Occasioni quando uno è un genio...

Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre


Un freddo cala... Duro il colpo svetta,
E l'acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre. 


[Non recidere, forbice, quel volto E. Montale]

un segno

Prese il telefono e compose il numero. 
Come al solito, come tutte le volte che dopo averlo accusato di qualcosa o di essersi volutamente allontanata, si sentiva in colpa e voleva essere perdonata.
Lui rispondeva sempre, il suo tono di voce era sempre lo stesso: paziente, sommesso, consapevole che lei avrebbe richiamato e gli avrebbe chiesto ancora una volta di essere perdonata. 
Lo accusava di tradimento, di volerla abbandonare, di averle fatto promesse che non avrebbe mai mantenuto, di essersi dimenticato di lei, di avere delle pretese nei suoi confronti, di volerla abbindolare.
Lui non cercava di convincerla del contrario con lunghi discorsi o con trovate particolarmente alternative. 
Era sicuro di amarla e di amarla per sempre, ed era sicuro che lei, prima o poi, se ne sarebbe resa conto. 
Le sue accuse lo addoloravano ma non si scomponeva, tutte le volte che lei lo chiamava lui rispondeva, aspettava che lei con uno dei suoi soliti giri di parole si scusasse, le ripeteva che le voleva bene e poi le diceva: "Io ti perdono". 
Non le diceva che le voleva bene dopo averla perdonata ma prima, sempre prima e il perdono era il segno che era davvero così. Glielo diceva prima, per dirle che la amava nonostante le accuse, che le voleva bene anche se lei continuava a dire che non era vero. 
La verità è che lei non sapeva come sarebbe andata a finire questa storia, staccarsi da lui era impossibile, c'era qualcosa che li legava più forte di tutte le cattiverie che le venivano in mente, solo era stanca di non capirci nulla o quasi e si stava anche stancando del suo tono accusatorio e delle sue lamentele.
Lui invece sembrava avere in mente qualcosa di più preciso ma non aveva intenzione di rovinarle la sorpresa e quindi non diceva nulla o quasi. 

sabato 7 luglio 2012

Cose di casa

Poi ogni tanto torno a casa e ci sono tutte queste cose meravigliose...







martedì 3 luglio 2012

Ritorno.

I primi dieci minuti della mattina erano sempre i più confusi. 
H. sedeva al tavolo della cucina indecisa sul da farsi, nella sua testa si spintonava una enorme quantità di pensieri: fare questo e quello e sentire questo o quest'altro, ricordarsi di portare la tal cosa al tale. 
Nessuno dei pensieri riusciva ad avere la meglio, era sempre così, stava tutto lì, qualcosa cercava di farsi notare più del resto ma nessuna attività, nei primi dieci minuti della mattina, riusciva a conquistarsi l'interesse di H. per più di cinque secondi.
Era il tempo in cui H. preparava la caffettiera, rovistava nella dispensa alla ricerca di qualcosa che assomigliasse a un biscotto, faceva un giretto sul balcone e recuperava dall'armadietto della cucina la sua tazza preferita. 
Quella mattina, però, inaspettatamente, dopo essersi versata il caffè e aver ripiegato su una fetta biscottata e della marmellata H. si ricordò del sogno e questo occupò completamente la sua attenzione e lei diventò un po' triste. 
Il sogno di cui H. si era ricordata era quello che aveva fatto quella notte e che le capitava spesso di fare. 
Il motivo per cui diventò triste era che da un po' di tempo non faceva più quel sogno e sperava che se ne fosse andato perché era un sogno che la metteva a disagio. 
Il contenuto del sogno era: H. doveva andare da qualche parte, si incamminava ma le sue gambe, improvvisamente, diventavano pesantissime sempre più pesanti e i passi sempre più lenti, provava a correre ma non ci riusciva, la sua corsa risultava lenta e fondamentalmente inutile. Nel corso del sogno, poi, solitamente, iniziava a fare caldo, caldissimo e H. aveva sempre il solito problema, andare da qualche parte e non riuscire ad andarci e sapere, in modo quasi inesorabile, che se anche fosse riuscita a raggiungere la sua destinazione sarebbe arrivata in ritardo. 
H. bevve l'ultimo goccio di caffè dalla tazza, si alzò e iniziò a occuparsi di tutto quello che doveva fare, ora le cose iniziavano a ordinarsi da sole in ordine di importanza, il sogno se ne tornava dietro le quinte ma rimaneva lì, liberarsene forse era impossibile, era parte del teatro.