venerdì 30 marzo 2012

Dinosauri!?!?

Oggi ero in macchina con della gente e abbiamo parlato dei dinosauri.
Adesso, seriamente, la questione dei dinosauri è una cosa assurda. 
Allora ci ho pensato, così, per capire come deve essere andata la faccenda e sinceramente è assurda. Tipo, Dio ha creato la terra e poi ha creato un po' di esseri e poi ha creato i dinosauri... 
Deve aver detto: adesso faccio un dimetrodonte, poi ha fatto non so... lo stegosauro, poi ha messo insieme un altro po' di idee e ha fatto il t-rex, lo pterodattilo e poi il brontosauro... li ha messi tutti sulla terra. 
Insomma, poi deve essere stato abbastanza soddisfatto, l'idea era decisamente originale, la resa grafica di un certo livello, poi ha messo due foglie qua un po' di selva là ecco...
Ma la cosa che io mi chiedo è: a un certo punto si vede che si è stufato, non so deve aver pensato: "Sono il solito esagerato, io e la mia mania di fare le cose in grande, questi dinosauri sono troppo ingombranti, occupano un sacco di spazio e poi mi rompono gli uomini, mmm". Ci avrà pensato un giorno o due... si è guardato un po' intorno e ha detto: "no, ok, basta dinosauri... farò una mucca". Così meteorite, glaciazione, estinzione eee mucche!! 
Dai è assurdo, ok, sarebbe stato altrettanto assurdo avere un pascolo di velociraptor però dai dinosauri alle mucche il salto è grosso... insomma... non so, questa è una delle cose che Gli devo chiedere. 

azzurritudine


la mia prima recensione

"che il tuo blog è un po' come la tua stanza: è piena di cose interessanti ma è un gran casino".

Non è il Times...ma tant'è!

Early in the morning...

giovedì 29 marzo 2012

IT > < LT

Entrò in casa buttando la borsa sul divano e ci si sdraiò accanto stremata:
"Non capisce niente", cercò uno sguardo di approvazione tra i presenti ma il programma alla tv era troppo interessante e nessuno si mosse.
"Ho detto: Non capisce niente, chiaro? niente, un tubo!", qualcuno si voltò ma nessuno osò chiederle.
Tutti sapevano a chi si stava riferendo, chi "non capiva niente" era lui, era sempre lui.
Ormai questa storia andava avanti da mesi, aveva iniziato a interessarsi a lui quasi per scherzo, perché era diverso da tutto il resto e perché in fondo nel suo comportamento c'era qualcosa che non riusciva a decifrare. Era stata presa dal suo solito zelo per le missioni alternative e aveva deciso che gli avrebbe insegnato l'Italiano, e così due sere a settimana si vedevano e lei cercava di insegnargli qualcosa. Il bello è che lui non era interessato alle lezioni di italiano, non sembrava nemmeno che fosse interessato a lei ma comunque non aveva mai mancato una lezione.
Lei aveva adottato almeno un milione e mezzo di strategie, si era ricordata di tutti i modi con cui aveva imparato a parlare e insomma si era messa in testa che, se lei aveva imparato così, anche lui avrebbe dovuto farlo, ma niente, lui non imparava.
La guardava con i suoi grandi occhi sorridenti ma di italiano nemmeno una parola, nulla, stava in silenzio e non diceva niente a parte qualche parola in Lituano, lingua di cui lei non capiva un accidente il che rendeva le cose estremamente complicate.
Si generavano tra loro incredibili malintesi. Quando lei diceva una cosa lui sembrava capirne un'altra e quando lui faceva affermazioni in Lituano lei ovviamente le interpretava nel peggiore dei modi...
Ad ogni loro incontro lui sembrava sempre più infastidito e lei temeva e sapeva che un giorno sarebbe andata  al solito bar dove si incontravano e lui non ci sarebbe più stato. Questa incomprensione cosmica non poteva durare troppo a lungo, lui si sarebbe stufato e avrebbe abbandonato quella balzana idea delle lezioni di italiano. 
Lei era sempre più confusa, tesa e irritata da questa situazione e sempre più dispiaciuta perché, come suo solito, nel tentativo di migliorare la situazione combinava solo dei pasticci. 
Era triste e nervosa perché seppur non capisse un accidente, questo lituano aveva qualcosa di incredibilmente interessante per lei. Il fatto di non raggiungere un livello minimo di comunicazione, di non riuscire a scalfire questa incomprensione la metteva in uno stato di perenne agitazione e affanno. 
Aveva anche pensato di imparare lei il lituano ma era troppo orgogliosa e non avrebbe ceduto nemmeno tra un milione di anni. 
Rimase ancora qualche minuto sul divano aspettando qualche sguardo comprensivo, qualche saggio consiglio, idee luminose... ma tutto taceva, la voce dell'apparecchio televisivo iniziò a infilarsi tra i suoi pensieri che lentamente abbassarono il loro volume... 
Era solo una breve uscita di scena, lei sapeva che la mattina dopo, al suo risveglio, sarebbero stati di nuovo lì e lei era così stanca.

mercoledì 28 marzo 2012

volevo dire

Gli abbracci sono una cosa complicata. 
Abbracciare qualcuno è la cosa più complicata del mondo, soprattutto se gli vuoi bene. 
Un'altra cosa che avrei voluto pensare io




Un assaggio di una cosa magnifica

"Essa aveva in mano orribili fiori gialli inquieti. [...] questi fiori si stagliavano nettamente sul suo soprabito nero primaverile. aveva fiori gialli! Un brutto colore [...] fui colpito non tanto dalla sua bellezza, quanto dalla straordinaria, mai vista solitudine nei suoi occhi! Ubbidendo a quel richiamo giallo, anch'io svoltai nel vicolo e la seguii. Camminavamo in silenzio lungo il vicolo triste e storto, io da un lato, lei dall'altro. E si figuri che non c'era anima viva, Mi tormentavo perché mi sembrava fosse necessario parlare, e temevo che non sarei riuscito a pronunciare neppure una parola, e lei se ne sarebbe andata, e non l'avrei mai più rivista. E s'immagini, a un tratto fu lei a parlare [...] L'amore ci si parò dinanzi come un assassino sbuca fuori in un vicolo, quasi uscisse dalla terra, e ci colpì subito entrambi. Così colpisce un fulmine, così colpisce un coltello a serramanico! Del resto, lei affermava in seguito che non era così, che ci amavamo da molto tempo pur senza esserci mai visti, e pur lei vivendo con un altro [...] Ebbene lei diceva che con quei fiori gialli in mano era uscita, quel giorno, perché io la potessi finalmente incontrare, e che se questo non fosse avvenuto, si sarebbe avvelenata, poiché la sua vita era vuota. "

[M. Bulgakov Il maestro e margherita]

SCULTURA

La classica idea che vorrei avere avuto io...

rotoloLaundry

martedì 27 marzo 2012

avere sete


Stanotte mi è venuta sete. Mi sono svegliata e avevo sete, ma ero comoda nel mio letto e non volevo alzarmi.
"Se poi mi alzo non riprendo più sonno" ho pensato.
"Devo cercare l'acqua e un bicchiere", magari se chiudo gli occhi, mi giro sull'altro lato e faccio finta di niente la sete mi passa" ho pensato anche questo.
Poi, mi è venuto in mente mio nonno. 
Mio nonno, un giorno, quando era in guerra ha avuto sete.
Così, d'improvviso, gli è venuta una sete per cui non poteva resistere, ma era in un posto sicuro e invece fuori stavano bombardando.
Ha detto a quelli che erano lì con lui:"Io ho sete, esco e vado a bere" e quelli:"Ma sei matto? Va che ci resti secco se esci, aspetta" e mio nonno:"Io ho sete, devo bere, non posso aspettare, ho sete, esco bevo e torno" e così è uscito e fuori bombardavano. Ha bevuto poi è tornato dove c'erano i suoi compagni, quelli che erano soldati con lui, ma una bomba era caduta sul posto sicuro mentre lui era fuori a bere. Erano morti tutti. 
Così stanotte mi sono alzata e sono andata a bere.

e poi io come faccio a mangiare?

Attraverso, poi attraverso di nuovo, sto per attraversare una terza volta ma è rosso, mi sarei fermata, mi stavo fermando e sento: "Si fermi! Cosa fa? Vuole morire spiaccicata e io poi come faccio a mangiare". 
Mi volto: vecchio signore distinto con occhiali e cappotto blu che, di nuovo, mi dice: "Non so, vuole farsi spiaccicare e poi io come faccio a magiare, io sto andando a pranzo". 
Mi immagino la scena: Io vengo investita da una macchina... fogli dappertutto e una me appiattita a terra in un lago di sangue e varie cose ributtanti... il vecchio che vede la scena e dice: "Ecco... che schifo ora ho perso l'appetito...".
Ma comunque, io sorrido al vecchio, e dico: "Beh guardi, mi sarei fermata" e lui: "No, io l'ho vista era sopra pensiero, sa come vanno queste cose, guardi che capita e poi io come faccio a mangiare..."
... un po' a questo punto l'ho pensato dico, l'ho pensato: "spero che t'ingozzi" però ho sorriso di nuovo... e lui mi guarda, prende un mio orecchino e mi dice: "Però, le stanno bene questi orecchini, sì le stanno bene... adesso non passa più nessuno se vuole può andare". 
Mhu!?! 

lunedì 26 marzo 2012

two

Poi ho aperto la finestra e ho registrato i rumori fuori dalla finestra e c'erano gli uccellini e poi si sente fshh fshh e quella lì è la portinaia che spazza per terra.



one

Non è che sono dei video questi sono dei rumori. Stamattina ero in cucina e c'era silenzio silenzio e allora ho registrato il silenzio.










La colazione al bar sa di: vacanza, di quando hai cinque anni, di Domenica dopo la messa, di aria fresca, di sabato mattina appena svegli, di posti in cui non si è mai stati, di cose importanti da dire, di riposo, di quando non sei di fretta, di mare. 
La colazione quando entri e poi ordini il caffè e prendi la brioche e magari chiedi anche una spremuta e poi ti siedi al tavolino e stai lì. 
Forse è la questione del tavolino, i tavolini della colazione sono una cosa impareggiabile, se ci penso ai miei tavolini della colazione sorrido, è come quando si è innamorati e si pensa alla persona di cui si è innamorati e ti scappa da ridere e un po', però, ti agiti ma non è ansia è diverso.
Stamattina poi mi hanno portato la spremuta in un bicchiere di quelli un po' vecchi, un vintage-bicchiere e quindi era ancora più buona, era buonissima. 

domenica 25 marzo 2012

L'inconfondibile gusto del gelato al Pistacchio

Dunque questo è un meta-post, un post installazione, un work in porgress post... su un argomento di grandissima rilevanza ovvero: Il gelato al pistacchio. 
Io ho elaborato una teoria importantissima... la teoria è che il pistacchio è il gusto prova. 
spazio per la meditazione personale della teoria: 

[



                                                                                                 ]                                                                                                                                                     
   
Ecco. 
Dopo che vi siete presi il vostro spazio quello che voglio dire è: Se una gelateria fa il pistacchio buono è una buona gelateria, altrimenti no. 
Per portare avanti la bandiera di questa mia teoria io prendo quasi sempre il gusto pistacchio, a parte quando è di quel verde acceso che anche senza assaggiarlo so prima che sarà schifoso. 
Per cui in questo meta post io adesso ci metto i nomi di tutte le gelaterie dove prendo il gelato al pistacchio e poi dopo ci scrivo se il pistacchio è buono. è una mappatura dei pistacchi, è una cosa chiaramente molto seria. si accettano ovviamente suggerimenti e gelati al pistacchio in omaggio. 

La prima gelateria è quella dove sono andata oggi:

Frozen, Corso di porta Ticinese 98, 20123 Milano: voto 6/7, buono ma non buonissimo (il che ovviamente non vuol dire niente ma fa parte della filosofia del meta - post). Però la mia amica che ha preso gusto mora ha detto che la mora era buona. 


Casa del gelato, via Papa Giovanni XXIII, 87 24054 (BG) voto 5-
Se avessi chiesto gusto "nulla" o gusto "qualunque cosa tranne del sapore" allora il voto sarebbe stato 10 ma... io volevo del pistacchio

Direbbe Janis: Piece of my heart

Dopo sembra sempre che io sia un'esagerata con questa storia di Milano però, per citare qualcuno di autorevole: "è bella bella in modo assurdo" io non c'entro, è lei che è così. 




Indecisione.

Stivale altezza coscia e calza ultra coprente, maglietta senza maniche e gilet di lana d'angora, pantaloni corti niente calze, pantaloni corti con calze e ballerine, canottiera minimal e pantalone lungo, giacca di pelle, niente giacca, piumino, calza collant leggera e stivaletti, jeans scarpe da ginnastica, maglione di lana niente giacca, felpa con cappuccio, stivale bianco da cavallerizza e completo aragosta, foulard sì, calze no, pile blu, maglia maniche lunghe e jeans, ciclista braghe corte e maglietta tecnica... È buffo perchè se guardi le persone, quest'oggi a Milano sono almeno 5 stagioni tutte insieme.

sabato 24 marzo 2012

... la polemica continua

You and me
We used to be together
Everyday together always
I really feel
That I'm losing my best friend
I can't believe
This could be the end
It looks as though you're letting go
And if it's real
Well I don't want to know

Don't speak
I know just what you're saying
So please stop explaining
Don't tell me cause it hurts
Don't speak
I know what you're thinking
I don't need your reasons
Don't tell me cause it hurts

Our memories
Well, they can be inviting
But some are altogether
Mighty frightening
As we die, both you and I
With my head in my hands
I sit and cry

Don't speak
I know just what you're saying
So please stop explaining
Don't tell me cause it hurts (no, no, no)
Don't speak
I know what you're thinking
I don't need your reasons
Don't tell me cause it hurts


It's all ending
I gotta stop pretending who we are...
You and me I can see us dying...are we?

Don't speak
I know just what you're saying
So please stop explaining
Don't tell me cause it hurts (no, no, no)
Don't speak
I know what you're thinking
I don't need your reasons
Don't tell me cause it hurts
Don't tell me cause it hurts!
I know what you're saying
So please stop explaining

Don't speak,
Don't speak,
Don't speak,
Oh I know what you're thinking
And I don't need your reasons
I know you're good,
I know you're good,
I know you're real good
Oh, la la la la la la La la la la la la
Don't, Don't, uh-huh Hush, hush darlin'
Hush, hush darlin' Hush, hush
Don't tell me tell me cause it hurts
Hush, hush darlin' Hush, hush darlin'
Hush, hush don't tell me tell me cause it hurts

meglio prendere le misure

8 metri, 57 centimetri e 24 millimetri, 3 metri, 40 centimetri e 25 millimetri, 2 metri 70 centimetri e 20 millimetri. Quindi: Sì, forse con qualche aggiustatina e assolutamente no. 5 metri 20 centimetri 18 millimetri, ci avviciniamo ma il giudizio è rimandato. 
Questo fa A. da quando si alza la mattina a quando va a letto la sera, misura le cose. Dotata del suo metro di altissima precisione si avvicina ad ogni oggetto che incontra e prende le misure: altezza, larghezza, profondità, circonferenza, perimetro, area; se c'è tempo le pesa anche ma non sempre. Tutti i dati vengono poi raccolti in una tabella con tre colonne: "sì", "no", "giudizio rimandato".
Non si salva niente, A. è meticolosissima tutto deve essere misurato e catalogato. Ha una casa piccola per cui è perfettamente consapevole del fatto che le uniche cose che può permettersi di comprare sono quelle che stanno nella colonna dove c'è scritto "no" ma comunque tutto va misurato. 
La tabella non ha nulla a che fare con i gusti di A., è solo una questione geometrica, righello e squadra niente sentimentalismi, lei sa quali sono i parametri per dividere tra sì e no. 
Ha iniziato a fare questo mestiere dopo che suo padre le aveva promesso di "liberarla" dal suo monolocale e di comprarle una grande villa  in riva al mare.
Glielo aveva promesso e lei ci aveva creduto, le aveva anche fatto vedere delle foto, le aveva mostrato i dettagli degli interni e lei ci aveva creduto, poi un giorno le ha detto: "A., guarda mi spiace, ma per la casa al mare non si può fare è certamente meglio che tu rimanga nel monolocale, è più adatto per te" e poi era sparito. 
Sul momento A. aveva sorriso, aveva detto: "ok, non importa", più che per la casa era seccata del fatto di essere stata ingannata.  
Poi la mattina dopo si era comprata il metro e aveva iniziato a misurare. 
9 metri quaranta centimetri e 34 millimetri, 1 metro 20 centimetri 3 millimetri, Sì, no. 
A. è cattiva? Forse, ma almeno adesso sa, prima di desiderare una cosa, se può permettersela o no.  



FLOWER RAG




Polemica



"Io, Qoèlet, sono stato re d'Israele in Gerusalemme.
Mi sono proposto di  ricercare e investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo. È questa una  occupazione penosa che Dio ha imposto agli uomini, perché in essa fatichino.
Ho  visto tutte le cose che si fanno sotto il sole ed ecco tutto è vanità e un inseguire il  vento.
Ciò che è storto non si può raddrizzare
e quel che manca non si può contare.

Pensavo e dicevo fra me: «Ecco, io ho avuto una sapienza superiore e più vasta  di quella che ebbero quanti regnarono prima di me in Gerusalemme. La mia  mente ha curato molto la sapienza e la scienza». 
Ho deciso allora di conoscere la  sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho compreso che anche  questo è un inseguire il vento,
perché

molta sapienza, molto affanno;
chi accresce il sapere, aumenta il dolore.

[...]

Tutta la fatica dell'uomo è per la bocca e la sua brama non è mai sazia. 
Quale  vantaggio ha il saggio sullo stolto? Quale il vantaggio del povero che sa  comportarsi bene di fronte ai viventi?
Meglio vedere con gli occhi, che vagare con il desiderio. Anche questo è vanità  e un inseguire il vento. 
Ciò che è, già da tempo ha avuto un nome; e si sa che  cos'è un uomo: egli non può competere con chi è più forte di lui. 
Le molte parole  aumentano la delusione e quale vantaggio v'è per l'uomo? 
Chi sa quel che  all'uomo convenga durante la vita, nei brevi giorni della sua vana esistenza che egli  trascorre come un'ombra? Chi può indicare all'uomo cosa avverrà dopo di lui sotto  il sole?"

giovedì 22 marzo 2012

the kids aren't alright


Infatti. 


Quando eravamo piccoli il futuro era così luminoso
Il vecchio quartiere era così vivo
E ogni ragazzino di tutta quella maledetta strada
Voleva diventare grande e non essere vinto
Ora il quartiere è vecchio e decadente
I ragazzi sono cresciuti
Ma le loro vite sono peggiorate
Come può una piccola strada
Reprimere così tante vite?

Occasioni buttate
Niente è familiare
Si desidera ciò che si era stati
È ancora difficile
Difficile da vedere
Deboli vite
Sogni infranti

Jamie ha avuto una possibilità,
beh ce l’ha fatta davvero
invece ci ha rinunciato e ha un paio di bambini
Mark passa ancora il suo tempo a casa
Poiché non ha un lavoro
Semplicemente suona la chitarra
E fuma un sacco di erba

Jay si è suicidato
Brandon è morto di overdose
Che diavolo succede?
Il sogno più spietato, la realtà

Occasioni buttate
Niente è familiare
Si desidera ciò che si era stati
È ancora difficile
Difficile da vedere
Deboli vite
Sogni infranti

mercoledì 21 marzo 2012

la questione delle bottigliette di plastica

Non credo esattamente di sapere quale sia il problema ma questa questione delle bottigliette di plastica sta prendendo una piega preoccupante. 
Le cose stanno così: io bevo tantissimo, ho tipo la malattia della sete, ho sempre sete (niente di metaforico, ho sete e basta). Allora quando vado in giro, o a lavorare mi compro sempre una bottiglietta d'acqua. 
il problema è che poi, magari, la bottiglietta non la bevo tutta e poi torno a casa e allora la uso per bere un po' anche a casa e poi la pianto lì. 
La piega preoccupante consiste nel fatto che il generico lì sta diventando un inquietante: dappertutto. Per dire oggi ho rinvenuto bottigliette di plastica verdi n. 2 sullo scaffale della mia camera, n.1 sul pavimento di fianco al letto, n. 1 scaffale sala, n. 1 borsa nera, quella di ieri sera, n. 3 macchina (ma potrebbero essercene di più - situazione disordine macchina livello 5), n. 1 ingresso, n. 1 mobile cucina. 
Mi sento come quando Fantozzi scopre che la Pina lo tradisce con il panettiere. 


Tutto ciò è avvilente. 

Cose vicine ma diverse

E. aveva una bella macchina, un buon motore, ottima ripresa e bassi consumi.
Problema: la macchina aveva la carrozzeria ammaccata.
Pensiero di E. in proposito: "che brutte le ammaccature, che noia le ammaccature, che pesantezza le ammaccature". 
Sì, un po' ci si era fissata su questa storia delle ammaccature, però era impossibile non vederle e a lei questa cosa scocciava parecchio. Comunque la parcheggiasse qualche ammaccatura era visibile, erano vistose. Non erano problemi di motore, erano problemi di carrozzeria. 
Dialogo tra E. e P. in proposito:
E. : "Ah, vedi, mi han fregato, va che macchina che ho qui, è un rottame, guarda questo segno e poi questo bozzo, qui, qua dietro vicino al parafango, per non parlare poi del cofano... un rottame, ti dico che è un rottame".
P. : "mmm sì effettivamente è un po' ammaccata però la casa di produzione è ottima"
E. : "E chissenefrega?!? No dico va che bagnarola!"
P. : "No, scusa, casa di produzione buona = motore buono"
E. : "Ecco, i soliti uomini! Motore buono, macchina buona. Per cortesia, forse non ti sei reso conto che c'è anche questo segnetto qui e questo graffio su quest'altra portiera... fregato, ti dico, mi hanno F R E G A T O".
P. : silenzio.
E. : "Poi non ho capito, va la L. che macchina ha e F. poi, per non parlare della macchina di G. e io cosa mi ritrovo... una carretta della strada..."
P. : "E. tu confondi le cose, la carrozzeria non è la macchina. Una macchina ha bisogno un motore buono non una buona carrozzeria non rovinata. Sono due cose unite, la carrozzeria copre la macchina, il cofano ammaccato copre il motore ma non sono la stessa cosa, sono vicine, cose vicine ma solo vicine. 
Sono cose diverse".   

Come le madeleine di Proust


Questa canzone c'era su un 45 giri a casa mia. 
Poi oggi un mio collega dice: "è il primo giorno di primavera".

martedì 20 marzo 2012

paura della posta

Nel cortile della casa c'era una cassetta delle lettere... o meglio stava di fianco al cancello però M. ne aveva voluta una come quelle americane che si vedono nei film, uguale a quella che c'è nei Peanuts quelle con la bandierina, così quando ci sarebbe stata posta lo avrebbe saputo subito, da fuori, senza bisogno di aprire la cassetta.
Perché M. aveva paura della posta.
Sosteneva che tu non sai mai cosa ti può arrivare per posta, per questo la posta è da temere.
"Della posta, finché non la apri non sai il contenuto"... aveva scritto in una delle sue molte mail al postino che, ogni tanto, le faceva notare con "quell'altra posta" che la sua cassetta stava esplodendo.
"Vedi caro D. in quest'altra posta" continuava M. nella sua mail al postino "c'è almeno un oggetto, così io posso sapere di che cosa si tratta, posso farmi un'idea delle cose che ci saranno scritte, posso prepararmi il cuore, posso quasi decidere prima come reagire ma... a quell'altra posta, quella con cui ti ostini a riempire la mia cassetta, quella lì senza oggetto e a volte addirittura senza mittente, quella è insopportabile".
Quello che succedeva quindi era questo: D., il postino, arrivava, metteva la posta nella cassetta e se ne andava sperando che M. prima o poi si decidesse ad aprire la cassetta.
M. ogni tanto ritirava le lettere ma diciamo che si prendeva il suo tempo... .
Aveva paura che le lettere contenessero qualcosa di spiacevole, aveva paura che ci fossero scritte cose come:"Gentile signorina M. siamo spiacenti di comunicarle che la merce da lei richiesta non è disponibile... Le proponiamo invece..." e poi succedeva sempre che quell'invece fosse un'offerta scadente... Per esempio una volta lei aveva ordinato una grande libreria di legno verde, bellissima ed era certa che sul catalogo ci fosse scritto "disponibile". L'aveva ordinata ed era iniziata tutta un'avventura perché la libreria era molto grande e quindi aveva dovuto abbattere qualche muro in casa per prepararsi ad accoglierla, aveva fatto spazio, spostato il divano e poi un giorno era arrivata la busta del negozio e sul pezzo di carta dentro c'era scritto proprio:"gent.issima signorina M. purtroppo la libreria da lei ordinata non è più disponibile ma siamo sicuri che troverà altrettanto interessante..." e poi le proponevano di comprare un'altra libreria di un altro verde e un po' più piccola ma le assicuravano avrebbe soddisfatto appieno i suoi desideri.
Ma M. aveva il cuore pesante e quell'altra libreria non la voleva.
Erano successi un po' di fatti così con la posta. Per esempio un'altra volta lei desiderava andare lontano lontano e improvvisamente qualcuno iniziò a farle trovare nella cassetta dei biglietti spiacevoli con scritte come:"lontano lontano è brutto, vicino è meglio", "chi va lontano di solito si perde", "lontano accadono delle cose pericolose" "conoscendoti direi che lontano non va bene per te"... Decine e decine di bigliettini così tutti lì nella posta e allora M. Alla fine, cosa doveva fare? non era partita, le era venuta ansia e era rimasta a casa e aveva riposto il biglietto del viaggio e le cartine geografiche che aveva comprato in una scatola.
Dopo qualche altro episodio di questo genere M. si era comprata la cassetta della posta americana e aveva iniziato la sua campagna di sensibilizzazione contro la posta. 
I suoi amici avevano più volte cercato di spiegarle che non poteva esserci niente di irreparabile in una busta ma lei era diventata troppo sospettosa, aveva paura, non voleva più sentire il cuore così pesante. 
Il problema era che a lei, in realtà, era sempre piaciuta la posta, anche il postino D. era suo amico e le stava simpatico e gli voleva bene per cui dover essere così scaltra la affaticava enormemente.

Un giorno affacciandosi alla finestra vide che di fianco alla cassetta era stato appoggiato un pacchetto, iniziò ad agitarsi, tirò la tenda, si sedette sul divano prese in mano il suo computer e iniziò a scrivere: 
"Caro D., oggi mi hai portato addirittura una scatola... perché insisti?"

...


coda

Stamattina c'eravamo io e un sacco di persone in fila in macchina e la gente quando è in fila in macchina è proprio buffa. Sono lì nella macchina, da soli, che sbadigliano e guardano davanti a loro e chissà a cosa pensano, se sono tristi, se sono contenti, se sono preoccupati... ognuno è lì nella sua macchina e tu sei nell'altra macchina.

domenica 18 marzo 2012

Carlotta


Carlotta è una ragazza grassa,
è grassa fisicamente ed è grassa metaforicamente, a pensarci bene anche il suo nome è grasso: Carlotta! Solo pronunciarlo dà l’idea di una bocca piena di muffin quindi lei è omnigrassa.
La sua grassezza è incominciata quando suo papà ha portato in casa LA scatola.
Un giorno è entrato dalla porta con una scatola sottobraccio e l’ha messa in cucina. Non ha detto niente, non ha detto cos’era, non ha detto se si poteva aprire, non ha detto se era per qualcuno in particolare ha solo preso la scatola e l’ha messa sul tavolo poi ha fatto le valige ed è partito per uno dei suoi numerosi viaggi.
Carlotta all’inizio ha dato alla scatola un’occhiata sfuggente ed ha pensato: “Un’ altra delle sue solite stramberie”, poi ha iniziato ad abituarsi, era una cosa tra le cose della casa. Poi un giorno ha iniziato a desiderare che quella scatola e il suo contenuto fossero per lei ma non ha osato aprirla. Più la guardava e più le piaceva, aveva un colore bellissimo, verde smerlado e non era né grande né piccola, era una bella scatola ma niente di esagerato.
Così, i giorni seguenti, Carlotta ha avuto un bel da fare per distrarsi dalla scatola ed è iniziata la sua grassezza.
Si è convinta con frasi del tipo: “No, quello che voglio in realtà non è la scatola, certo è bella ma sicuramente su internet o là fuori nel mondo ne vendono di migliori” e in quell’istante è iniziata la sua grassezza metaforica. La ragazza ha comprato in un mese 365 scatole, una scatola per ogni giorno dell’anno, tutte diverse, cartone, metallo, alluminio, legno, plastica scatole grandi, contenitori piccoli, recipienti, cassette, scrigni, cofanetti, custodie, astucci. Avendo ormai tutte quelle scatole ha anche ritenuto opportuno comprare un sacco di cose da metterci dentro: vestiti, scarpe, cancelleria, orecchini, trucchi, libri, palle di vetro con la neve ma niente, il desiderio della scatola della cucina non se ne andava, si affievoliva, ogni tanto sembrava quasi scomparire ma poi bastava che andasse in cucina e ecco che ritornava, più forte di prima.
Carlotta, però, la scatola non la apriva, non sapeva se era davvero per lei, non sapeva se sarebbe stata poi delusa dal contenuto, non sapeva se sarebbe riuscita a richiuderla come prima dopo averla aperta, quindi niente, usciva dalla cucina pesante come un ferro da stiro di ghisa e si piazzava davanti alla tv.
Poi un giorno le è venuta un’altra idea e lì è cominciata la sua grassezza fisica: “Se la scatola è in cucina… basta non andare in cucina! Basta cucinare! Ordinerò tutto per telefono!! Aaaaa sono un ggenio!”. Il mese successivo alle 365 scatole e ai vestiti, perciò, Carlotta ha assaggiato tutte le cucine della città che promettessero un Take Away: “Presto Kebab”; “Pronto Pizza” ; “Cina a casa tua”; “Messico in salotto”; “Sapori d’oriente” e molto altro. Si è piazzata davanti alla tv, ha girato la poltrona con le spalle alla porta della cucina e ha mangiato tutto il mangiabile, risultato, 20 chili in un mese, un certo senso di nausea perenne e il desiderio fisso della scatola della cucina.
Forse un giorno Carlotta si stancherà di tutta questa grassezza, andrà in cucina e correrà il rischio di aprire la scatola, per ora è uscita e ha deciso di prendere un po’ d’aria, almeno ha il tempo di pensarci su, si è data il tempo di prendere tempo.
Cammina per la strada dondolando il suo grasso corpo e intanto ci pensa su. 

Invito a cena


A quell’invito ci aveva pensato tantissimo.
Non che fosse una persona egoista e non era nemmeno da dire che la sua casa fosse piccola. Era una casa abbastanza grande, molto luminosa ma l’architetto l’aveva fatta di un materiale molto fragile. Le pareti sembravano quasi di carta, non era carta, è ovvio, nessuno fa le case di carta ma erano comunque molto sottili, erano delle pareti lievi. Sulle fondamenta niente da dire, quelle erano solide era il resto che l’architetto l’aveva voluto leggero.
Comunque lei, all’inizio, quando era andata ad abitare lì, non la sapeva questa faccenda delle pareti e quindi aveva sempre riempito la sua casa di persone e anche di cose. Le cose le piacevano tantissimo, anche le persone le piacevano tantissimo. Tutte queste cose e queste persone, però, nel tempo, avevano segnato tutte le pareti, qualcuno aveva fatto anche dei buchi spostandosi maldestramente con la sedia oppure lasciando cadere la cenere della sigaretta. Lei cercava di sistemare subito ogni cosa, graffettava alle pareti pezzi di altra carta, stuccava alla meglio i segni sui muri e faceva la sua vita.
Un giorno però iniziò a piovere e la casa si riempiva d’acqua, acqua in cucina, acqua in sala, acqua nelle camere, nei bagni, acqua dappertutto e C. fu costretta a chiudere la casa e a chiamare un restauratore di quelli veri, di quelli che costano, che finché non hanno messo per bene a posto tutto così che poi funzioni non se ne vanno, di quelli che ti dicono: “Signora, guardi qui, lo vede questo segno, ecco guardi, stia attenta”!
Il restauratore era davvero bravo ma un po’ lungo, la ragazza andava avanti a fare la sua vita, ma non invitava più tutti quelli di prima e comprava meno oggetti. Ogni tanto veniva qualcuno a trovarla, qualcuno che aveva a che fare con la compagnia di restauro e che non aveva mai fatto troppi danni anche quando era stato invitato a cena prima della pioggia.
Insomma, è per questo che la ragazza, a quell’invito, ci aveva pensato a lungo.
Poi, alla fine, si era decisa, la casa era abbastanza in ordine adesso, il restauratore aveva fatto e faceva un buon lavoro e forse si poteva osare, si poteva provare a invitare più di uno alla volta e così invitò tre amici. Erano una donna e due uomini. La ragazza preparò ogni cosa, pulì la casa, apparecchiò la tavola con ordine e tirò fuori uno dei suoi servizi di piatti migliori, quelli che solo a Pasqua e a Natale, cucinò, taglio il pane e poi aspettò che arrivassero.
Uno dei due uomini e la donna arrivarono puntuali.
La donna salutò la ragazza e iniziò a riempirla di parole, il suo tono della voce era alto e aveva un modo di muoversi un po’ sgraziato, toccava tutto, sollevava ogni soprammobile e poi lo riponeva al suo posto; dal modo con cui toccava le cose sembrava quasi che volesse appropiarsene e questo spaventava un po’ la padrona di casa che però aveva deciso di non curarsene.
L’uomo puntuale entrò più dimessamente, salutò e iniziò ad aggirarsi per l’appartamento come in cerca di qualcosa, non si capiva se fosse contento di essere stato invitato, non si esprimeva, continuava a girare per le stanze senza dire niente. C. provava ad attirare la sua attenzione mostrandogli la sua foto preferita o il panorama che si vedeva dalla finestra della cucina, lui si avvicinava, dava un’occhiatina e poi cambiava argomento, la padrona di casa non capiva perché facesse così e lo guardava pensierosa.
Il terzo uomo arrivò in ritardo.
Comunque alla fine si sedettero tutti e quattro a tavola, l’uomo che era arrivato tardi guardò i piatti con sufficienza e disse che li aveva già visti da qualche parte, che gli ricordavano qualcosa, disse alcune parole a proposito del reparto casalinghi dell’Iper sotto casa sua poi cambiò argomento.
Iniziarono a mangiare. La donna faceva un sacco di complimenti poco sinceri e un sacco di osservazioni, l’uomo puntuale non diceva niente l’altro continuava a interrompere i dialoghi, a commentare il cibo.
C. parlava poco, aveva sempre parlato poco, osservava il tutto, un po’ con apprensione, un po’ con dolore, un po’ era solo contenta che loro fossero lì, dopo tanto tempo la sua casa sembrava di nuovo adatta a ricevere ospiti. 
La cena non durò molto, la donna con la sua insistenza riuscì a farsi regalare un soprammobile, l’uomo puntuale fu il primo ad andarsene, silenzioso e incurante com’era arrivato. Il terzo guardò C., le chiese se il giorno dopo poteva dargli uno strappo alla stazione perché la sua macchina era rotta, poi sorrise e chiuse la porta dietro di sé.
C. si sedette un attimo al tavolo, osservò le briciole, i piatti e le bottiglie, era un po’ stanca, guardò le pareti della casa, avevano retto, uno strappo c’era ma non sentì la necessità di chiuderlo subito, lo osservò, cercò di ricostruire il momento in cui era stato fatto ma non riusciva a dirlo, forse lei era di là in cucina e quindi non si era accorta.
Sì, le venne in mente che se non avesse invitato nessuno quello strappo non ci sarebbe stato, che adesso avrebbe dovuto mettersi al lavoro per ripararlo ma scacciò questi pensieri e si disse che era molto più contenta di aver potuto, un po’ come riusciva, amare i suoi ospiti.    

Guanti azzurri e macchie



S. apre gli occhi solleva il braccio, apre e chiude la mano verso il soffitto della sua camera poi richiude gli occhi e pensa: “Adesso mi alzo a d e s s o m i a l z o ”, praticamente si rotola giù dal letto, a memoria raggiunge la porta del bagno e comincia lentamente a levarsi il pigiama. Lo specchio è lì che attende le sue macchie nere e, infatti, loro ci sono. La pelle di S. è cosparsa di tante macchie nere, qualcuna è grande, qualcuna è piccola, alcune ci sono sempre state da che S. si ricordi, altre sono comparse con il tempo. Le conta: 72. Nessuna novità. Non sono nei o voglie sono chiazze nere sembra quasi che stiano un filo sotto alla pelle, danno una sensazione di bruciore, non sempre e con diversa intensità.
Scelta dei vestiti: pantaloni blu, maglietta viola, maglione verde, scarpe bianche. Aprire le ante del suo armadio è come entrare in un bazar indiano: vestiti colorati, cangianti, ha cappelli gialli, giacche rosse, magliette disegnate, stampate, tinta unita. I colori sono tanti, tantissimi, tutti insieme vicini, mischiati, non divide le cose per colore ma lascia che giacciano tutte lì, insieme. Specchio di nuovo, visione d’insieme stavolta vestita, niente nero.
Caffè, tazza, cucchiaino, sedia. Taglia una fetta di torta e poi sedia di nuovo.
Suona il campanello, arrivano i suoi amici, vengono spesso, stanno lì, a casa sua tutto il giorno, non arrivano insieme però arrivano e stanno lì. S. trova che ognuno di loro sia molto interessante, le piace che stiano lì, in casa sua, seduti attorno al suo tavolo, le piace poter far loro da mangiare e anche se le macchie le fanno male sorride. Ognuno di loro allarga il cuore di S..
In verità è da dire che nella città di S. tutti hanno le macchie sulla pelle, chi più chi meno ma tutti hanno le macchie fin dalla nascita e, in alcuni casi, esattamente come per la ragazza le macchie sono andate aumentando negli anni.
La gente odiava le macchie, piangeva per loro, tanti cercavano in tutti i modi di nasconderle, di fingere che non ci fossero e la medicina era arrivata anche a ottimi risultati. Erano state prodotte creme ultra coprenti, unguenti lenitivi che addolcivano il bruciore delle macchie fino a farlo diventare quasi un leggero brivido. Insomma in fondo i cittadini, negli anni, avevano imparato a conviverci con questa storia delle macchie. I genitori avevano imparato a nasconderle e tanti di loro avevano insegnato ai figli come fare. Qualcuno le usava come punti di partenza per dei tatuaggi, le ricopriva d’inchiostro e le soffocava lì sotto. Il sindaco della città era riuscito quasi a dimenticarsi di averle, le seppelliva sotto tanta di quella crema che non le vedeva più, se non quando si sentiva molto solo.
S. sa che anche i suoi amici, quindi, devono avere le macchie ma non sa se sono di quelli che le sentono bruciare come lei, se hanno deciso di non guardarle, se hanno deciso di non pensarci quindi lei non parla con loro delle macchie. Studia, li studia. Si fanno compagnia,  a volte lei ha come la sensazione che loro si accontentino davvero di stare lì, di starle attorno come la corolla di un fiore, di ridere alle scemenze che lei o che qualcuno degli altri dice. Quando pensa queste cose le sue macchie bruciano tantissimo. Ogni tanto invece capita che anche S. riesca a dimenticarsi delle sue macchie, Si destreggia bene, non si preoccupa più di tanto, gestisce.
S. guarda uno dei suoi amici negli occhi, le piace guardare la gente negli occhi, lo guarda, si sofferma un po’ troppo a lungo e allora le macchie tornano a farsi sentire.
Le capita così anche quando incontra per strada gli sconosciuti, quando va in banca e il tizio dello sportello è gentile, quando il carabiniere che fa la guardia al Duomo fa una battuta sui turisti, lei si affeziona e le macchie tornano a bruciare e le chiedono di essere curate, le ricordano che i vestiti sgargianti non sono abbastanza, che gli amici che le fanno "corona" non sono abbastanza, che le sue sole forze, che il suo lavoro, le mura della sua casa non sono abbastanza.
Ci sono altri amici, con cui S. si veste di nero, sono gli amici con cui il cuore di S. riposa, loro sanno tutto, sanno delle macchie e non hanno paura, le ricordano che le macchie sono più belle dei suoi vestiti colorati, sono più belle delle scemenze che dice perché sono la parte di S. che può essere amata. Quando esce con loro S. indossa sempre i guanti azzurri, i suoi preferiti, quelli che sembrano il cielo, alza il braccio in aria, apre e chiude la mano e si riposa, davvero.