A quell’invito ci aveva pensato
tantissimo.
Non che fosse una persona egoista
e non era nemmeno da dire che la sua casa fosse piccola. Era una casa
abbastanza grande, molto luminosa ma l’architetto l’aveva fatta di un materiale
molto fragile. Le pareti sembravano quasi di carta, non era carta, è ovvio,
nessuno fa le case di carta ma erano comunque molto sottili, erano delle pareti
lievi. Sulle fondamenta niente da dire, quelle erano solide era il resto che
l’architetto l’aveva voluto leggero.
Comunque lei, all’inizio, quando
era andata ad abitare lì, non la sapeva questa faccenda delle pareti e quindi
aveva sempre riempito la sua casa di persone e anche di cose. Le cose le
piacevano tantissimo, anche le persone le piacevano tantissimo. Tutte queste
cose e queste persone, però, nel tempo, avevano segnato tutte le pareti,
qualcuno aveva fatto anche dei buchi spostandosi maldestramente con la sedia
oppure lasciando cadere la cenere della sigaretta. Lei cercava di sistemare
subito ogni cosa, graffettava alle pareti pezzi di altra carta, stuccava alla
meglio i segni sui muri e faceva la sua vita.
Un giorno però iniziò a piovere e
la casa si riempiva d’acqua, acqua in cucina, acqua in sala, acqua nelle
camere, nei bagni, acqua dappertutto e C. fu costretta a chiudere la casa e a
chiamare un restauratore di quelli veri, di quelli che costano, che finché non
hanno messo per bene a posto tutto così che poi funzioni non se ne vanno, di
quelli che ti dicono: “Signora, guardi qui, lo vede questo segno, ecco guardi,
stia attenta”!
Il restauratore era davvero bravo
ma un po’ lungo, la ragazza andava avanti a fare la sua vita, ma non invitava
più tutti quelli di prima e comprava meno oggetti. Ogni tanto veniva qualcuno a
trovarla, qualcuno che aveva a che fare con la compagnia di restauro e che non
aveva mai fatto troppi danni anche quando era stato invitato a cena prima della
pioggia.
Insomma, è per questo che la
ragazza, a quell’invito, ci aveva pensato a lungo.
Poi, alla fine, si era decisa, la
casa era abbastanza in ordine adesso, il restauratore aveva fatto e faceva un
buon lavoro e forse si poteva osare, si poteva provare a invitare più di uno
alla volta e così invitò tre amici. Erano una donna e due uomini. La ragazza
preparò ogni cosa, pulì la casa, apparecchiò la tavola con ordine e tirò fuori
uno dei suoi servizi di piatti migliori, quelli che solo a Pasqua e a Natale,
cucinò, taglio il pane e poi aspettò che arrivassero.
Uno dei due uomini e la donna
arrivarono puntuali.
La donna salutò la ragazza e
iniziò a riempirla di parole, il suo tono della voce era alto e aveva un modo
di muoversi un po’ sgraziato, toccava tutto, sollevava ogni soprammobile e poi
lo riponeva al suo posto; dal modo con cui toccava le cose sembrava quasi che
volesse appropiarsene e questo spaventava un po’ la padrona di casa che però
aveva deciso di non curarsene.
L’uomo puntuale entrò più
dimessamente, salutò e iniziò ad aggirarsi per l’appartamento come in cerca di
qualcosa, non si capiva se fosse contento di essere stato invitato, non si
esprimeva, continuava a girare per le stanze senza dire niente. C. provava ad
attirare la sua attenzione mostrandogli la sua foto preferita o il panorama che
si vedeva dalla finestra della cucina, lui si avvicinava, dava un’occhiatina e
poi cambiava argomento, la padrona di casa non capiva perché facesse così e lo
guardava pensierosa.
Il terzo uomo arrivò in ritardo.
Comunque alla fine si sedettero
tutti e quattro a tavola, l’uomo che era arrivato tardi guardò i piatti con
sufficienza e disse che li aveva già visti da qualche parte, che gli
ricordavano qualcosa, disse alcune parole a proposito del reparto casalinghi
dell’Iper sotto casa sua poi cambiò argomento.
Iniziarono a mangiare. La donna
faceva un sacco di complimenti poco sinceri e un sacco di osservazioni, l’uomo
puntuale non diceva niente l’altro continuava a interrompere i dialoghi, a
commentare il cibo.
C. parlava poco, aveva sempre
parlato poco, osservava il tutto, un po’ con apprensione, un po’ con dolore, un
po’ era solo contenta che loro fossero lì, dopo tanto tempo la sua casa
sembrava di nuovo adatta a ricevere ospiti.
La cena non durò molto, la donna
con la sua insistenza riuscì a farsi regalare un soprammobile, l’uomo puntuale
fu il primo ad andarsene, silenzioso e incurante com’era arrivato. Il terzo
guardò C., le chiese se il giorno dopo poteva dargli uno strappo alla stazione
perché la sua macchina era rotta, poi sorrise e chiuse la porta dietro di sé.
C. si sedette un attimo al
tavolo, osservò le briciole, i piatti e le bottiglie, era un po’ stanca, guardò
le pareti della casa, avevano retto, uno strappo c’era ma non sentì la
necessità di chiuderlo subito, lo osservò, cercò di ricostruire il momento in
cui era stato fatto ma non riusciva a dirlo, forse lei era di là in cucina e
quindi non si era accorta.
Sì, le venne in mente che se non avesse invitato nessuno quello strappo
non ci sarebbe stato, che adesso avrebbe dovuto mettersi al lavoro per
ripararlo ma scacciò questi pensieri e si disse che era molto più contenta di
aver potuto, un po’ come riusciva, amare i suoi ospiti.
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